DOTT.MARCO SANGES

Epatopatie croniche

Epatopatie croniche (Dott. Marco Sanges)

Sono malattie caratterizzate da infiammazione cronica del fegato e, spesso, da elevati livelli plasmatici delle transaminasi (enzimi della cellula epatica). Nella maggior parte dei casi, sono provocate da infezione cronica da parte dei virus dell’epatite B o C, o sono su base metabolica (fegato grasso). L’infiammazione cronica può evolvere in cirrosi epatica; il tempo necessario affinché avvenga questo processo è variabile, dipendendo dal grado di attività infiammatoria presente. Se l’attività infiammatoria è minima o assente l’evoluzione verso la cirrosi non avverrà mai; se è presente attività infiammatoria la velocità di evoluzione dipenderà dal grado dell’infiammazione. Per valutare la funzionalità del fegato, il grado di infiammazione del fegato e l’eventuale presenza di fibrosi abbiamo a disposizione esami di laboratorio ed indagini strumentali.

Gli esami di laboratorio più importanti sono le aminotransferasi (AST e ALT), la  gamma glutamil transpeptidasi (GGT), la fosfatasi alcalina (ALP), l’elettroforesi delle proteine (QPE), la bilirubina, il tempo di protrombina e la conta piastrinica. Per ciò che riguarda le indagini strumentali, l’Ecografia è quella fondamentale per lo studio del fegato. Essa permette di studiare il volume del fegato, se l’ecostruttura è normale o vi sono segni di accumulo di grasso o di evoluzione in cirrosi. Oltre a questo permette di individuare precocemente lesioni focali, che possono essere benigne o maligne. In alcuni casi, per distinguere tra lesioni benigne o maligne è necessario effettuare esami con mezzo di contrasto come la TC o la Risonanza magnetica.

Altre indagini sono la biopsia epatica, che permette di valutare la presenza di infiammazione e fibrosi epatica, e il Fibroscan che, in modo non invasivo (simile ad una ecografia) permette di valutare il grado di fibrosi epatica. Proprio perché non invasiva questa metodica sta sempre più sostituendo l’uso della biospia.

 

EPATITE CRONICA B

L’epatite B è una malattia del fegato causata dal HBV. Il virus viene trasmesso attraverso fluidi corporei quali sangue, liquido seminale e secrezioni vaginali. Quindi le cause più frequenti di contagio da parte del virus HBV sono: rapporti sessuali non protetti; condivisione di rasoi e spazzolini da denti; condivisione di siringhe che dovrebbero essere monouso. Attualmente la trasmissione mediante trasfusione di sangue è praticamente nulla. La storia naturale dell'infezione da HBV varia a seconda dell'età in cui si acquisisce l'infezione.
Più del 90% delle persone infettate da HBV sono in grado di eliminare il virus in sei mesi. In questo caso il virus HBV ha quindi determinato una infezione acuta che tuttavia non è suscettibile di cronicizzazione. Il restante 10% circa di persone contagiate non è in grado di debellare completamente il virus e va incontro quindi ad una epatite a lungo termine o cronica. Per le infezioni acquisite in età infantile le proporzioni sono invertite con un rischio di quasi il 90% di cronicizzazione. L'evoluzione cronica di tale malattia può portare a serie complicanze come la cirrosi e il cancro del fegato. La maggior parte delle persone con epatite B, sia nella forma acuta che in quella cronica, sono asintomatiche. L’epatite B viene diagnosticata con un prelievo sanguigno e relativo test. La diagnosi di epatite B viene effettuata mediante un esame del sangue che valuta la presenza dell’antigene di superficie dell’epatite B (HBsAg) e degli anticorpi IgM per l’antigene core dell’epatite B (anti-HBc IgM). Gli anticorpi si sviluppano nel sangue nelle prime fasi di infezione. Gli anticorpi all’antigene di superficie dell’epatite B (anti-HBs) si sviluppano dopo un’infezione attiva e rappresentano un indicatore dello stato di immunità. Tuttavia, l’esame più importante nella diagnostica dell’epatite cronica B, è la ricerca, mediante una tecnica di biologia molecolare, dell’HBVDNA. La presenza di HBVDNA nel siero indica replicazione attiva del virus.

La terapia dell'infezione cronica richiede una conoscenze del virus e della sua storia naturale, ossia della sua evoluzione e dei potenziali benefici della terapia stessa. Attualmente, ì farmaci utilizzati per la cura dell’epatite cronica B sono Interferone (IFN), l’Entecavir e il Tenofovir.  

Come si previene l’epatite B?

La vaccinazione è il modo migliore per prevenire l’epatite B, perché dà una protezione a lungo termine. Il vaccino per l’epatite B viene somministrato in tre dosi: le prime due a un mese di distanza e la dose finale sei mesi dopo. Attualmente in Italia vengono vaccinati tutti i neonati, mentre per quanto riguarda gli adulti la vaccinazione è raccomandata alle persone appartenenti a categorie a rischio, quali:

  • lavoratori in strutture di cura e in pronto soccorso; pazienti in dialisi; pazienti con malattie croniche del fegato; personale militare; detenuti; soggetti con partner sessuali multipli; tossicodipendenti (droghe per via iniettiva); partner sessuali e conviventi di persone malate; viaggiatori che contano di avere stretti contatti con residenti in Paesi o regioni con infezione da epatite B endemica.

 

EPATITE CRONICA C

L’epatite C è una malattia del fegato causata dal virus HCV. La via di trasmissione è quella del contatto diretto con il sangue di qualcuno già infettato dal virus.

La causa più comune di trasmissione è l’utilizzo promiscuo di aghi e siringhe infette che, correttamente, sarebbero monouso. Altre cause meno comuni di trasmissione sono:

  • la condivisione di rasoi, spazzolini o forbici da unghie con persone infette;
  • il contatto accidentale con sangue infetto, situazione questa che riguarda per lo più gli operatori sanitari;
  • l'esecuzione di tatuaggi e piercing con materiali non sterili;
  • praticare attività sessuale tra persone ad elevata promiscuità (partner multipli): questo aumenta il rischio di contrarre vari tipi di malattie veneree, le cui lesioni mucose possono rappresentare un fattore di rischio di trasmissione dell'epatite C. Infatti, nell'ambito di coppie monogame stabili non sussiste l'indicazione all'utilizzo del profilattico.

In rari casi l’HCV può essere trasmessa dalla madre infetta al bambino, durante il parto. Il padre non trasmette il virus al nascituro attraverso la fecondazione. Il rischio di contrarre l’infezione tramite trasfusioni è da considerarsi praticamente nullo.

Contrariamente all’epatite B, in cui la cronicizzazione della malattia rappresenta l’eccezione e non la regola, l’epatite C provoca con un unico evento acuto nella minoranza dei casi. Infatti solo il 30% circa delle persone infettate da HCV è in grado di debellare il virus attraverso il lavoro del proprio sistema immunitario, e ciò accade nel giro di circa sei mesi. Il restante 70% dei pazienti che hanno contratto il virus, non si libera del virus stesso e sviluppa un’infezione da HCV cronica.

La maggior parte delle persone con epatite C acuta e cronica sono asintomatici. Per tale motivo l’epatite C può addirittura richiedere decenni prima di dare manifestazioni clinicamente rilevanti e quindi essere diagnosticata. I sintomi non differiscono in maniera sostanziale da quelli delle altre epatiti e includono debolezza, dolori articolari, prurito cutaneo, dolore muscolare. L’epatite C è diagnosticata con un test del sangue. Attualmente la diagnosi di epatite C si basa sull’impiego di due esami del sangue: la ricerca degli anticorpi specifici contro l’HCV e l’individuazione delle particelle virali HCV-RNA mediante una tecnica di biologia molecolare chiamata Polimerase Chian Reaction (PCR).

Anticorpi anti-HCV 
Questo test permette  di stabilire se il soggetto è entrato in contatto con l’HCV e se ha quindi sviluppato anticorpi contro il virus, ma non distingue tra malattia pregressa o in atto, aspetto evidenziabile unicamente andando a valutare la presenza o meno del virus nel sangue con la ricerca dell’HCV-RNA. La ricerca di anticorpi anti-HCV può dare risultati falsamente negativi se avviene nel cosiddetto “periodo finestra”, che è l’intervallo di tempo, alcune settimane, compreso tra l’esposizione dell’individuo al virus e la formazione degli anticorpi specifici.

HCV-RNA 
Il test permette la determinazione del genoma virale e la conferma definitiva della diagnosi di epatite C viene dall’individuazione delle particelle virali circolanti nel sangue, la cosiddetta carica virale o viremia, mediante un test molecolare basato sulla polymerase chain reaction (PCR), una tecnologia molto sensibile che consente di analizzare quantità minime del genoma dell’HCV. Se questo test risulta positivo (HCV-RNA qualitativo), significa che sussiste una replicazione virale in corso e quindi una infezione. La stima della carica virale (HCV-RNA quantitativo) fornisce inoltre importanti indicazioni sulla risposta del paziente al trattamento e all’eventuale necessità di modificare il regime terapeutico.


Il genotipo virale (Genotipizzazione virale)
Permette di stabilire il genotipo del virus (ad esempio 1a, 2a, 2b, 3…), al momento attuale se ne conoscono 6 tipi distinti, ulteriormente suddivisi in un centinaio di sottotipi. La ricerca del genotipo virale è un’altra indagine estremamente utile per impostare correttamente la terapia antivirale.

 

Terapia dell’epatite C

Fino a poco tempo fa, la terapia dell’epatite C si basava sulla somministrazione di PEG-Interferone e ribavirina. La durata del trattamento era di 6 mesi per i genotipi facili (2,3), e di 12 mesi per quelli più resistenti (1,4). La percentuale di guarigione era del 70-80% per i genotipi 2 e 3, e del 40-50% per il genotipi 1 e 4. Successivamente, per i genotipi più resistenti è stata introdotta la triplice terapia, nella quale, a Interferone e ribavirina si associava una nuova classe di farmaci: gli inibitori delle proteasi. Esempi di questi farmaci sono Telaprevir e Boceprevir. Con la triplice terapia la percentuale di guarigione per il genotipo 1 si attestava sul 60-70%.

Negli ultimi mesi, sono prepotentemente venute alla ribalta nuove terapie antivirali (sofosbuvir, simeprevir, daclatasvir, ledipasvir, dasabuvir, ombitasvir, ritonavir, paritaprevir), con percentuali di guarigione superiori al 90% per tutti i genotipi.

Quali sono gli indubbi vantaggi di queste nuove terapie orali?

La durata della terapia, che si riduce a 3-6 mesi contro i 6-12 mesi degli attuali trattamenti; l’efficacia nella eliminazione del virus fino al 100% dei casi; il fatto che si tratti di farmaci orali e soprattutto l’assenza di interferone e degli effetti collaterali connessi. Sono farmaci rivoluzionari, perché tanti pazienti che non possono - per varie ragioni - ricevere terapie a base di interferone, avranno la possibilità concreta di guarire. Per gli alti costi di questi farmaci, sono attualmente utilizzati sono nei pazienti con malattia più avanzata (cirrosi o pre-cirrosi), ma nei prossimi anni potranno essere trattati tutti i pazienti.

Prevenzione

Non esiste un vaccino efficace contro l'epatite C; di conseguenza, la profilassi primaria si basa sull'istruzione dei malati e sulla riduzione dei fattori di rischio. Chi è affetto da epatite C, in particolare, dovrebbe coprire accuratamente eventuali ferite, evitare di condividere rasoi, forbicine o spazzolini da denti, donare sperma od organi, e comunicare la propria condizione a familiari, partner ed agli operatori sanitari che possono entrare in contatto con il suo sangue.

EPATOPATIA CRONICA SU BASE METABOLICA (FEGATO GRASSO)

Il fegato grasso è proprio ciò che il termine suggerisce: un eccessivo accumulo di grasso nelle cellule epatiche. È normale che il fegato contenga grasso. Ma se il grasso ammonta a più del 5-10% del peso del fegato, allora possiamo definirlo fegato grasso, e questo sviluppare serie complicanze. Un'alimentazione troppo ricca di calorie è la prima causa. Quando il fegato non processa o metabolizza i grassi come dovrebbe fare normalmente, si accumula grasso in eccesso.
La popolazione tende a sviluppare il fegato grasso se presenta altre condizioni prepatologiche o patologiche come l’obesità, il diabete o la dislipidemia. La maggior parte dei pazienti con fegato grasso, ma non tutti, sono di età media e in soprappeso.
Infine vi sono casi in cui il fegato grasso si sviluppa anche in assenza di queste condizioni e i motivi per cui ciò accade sono ancora oggetto di studio. Il fegato grasso non è una condizione che va sempre a causare danno epatico. Tuttavia in alcune persone (in una percentuale compresa tra il 5 e il 20%) l’eccesso di grasso porta ad una infiammazione del fegato. Il fegato grasso appare all’ecografia più “chiaro”, il cosiddetto fegato bright. Alcune volte l’infiammazione di un fegato grasso è collegata all’abuso di alcol; in tal caso si parla di steatoepatite alcolica. Diversamente si parla di steatoepatite non alcolica, o NASH. La  NASH è la principale causa di elevazione delle transaminasi. I fattori di rischio sono l’obesità, il diabete e le dislipidemie. L’ALT elevata fa parte della sindrome metabolica caratterizzata da resistenza insulinica, iperglicemia, dislipidemia, obesità e ipertensione.

La diagnosi di sindrome metabolica si basa sulla presenza di tre o più dei seguenti criteri:

  1. Glicemia a digiuno maggiore o uguale 110 mg/dL
  2. Obesità centrale: circonferenza addominale > 102 cm (uomo) e > 88 cm (donna)
  3. Pressione arteriosa maggiore o uguale 130/85 mmHg
  4. Trigliceridi maggiore o uguale 150 mg/dL o uso di fibrati
  5.  Colesterolo HDL

La NASH è una delle tre più frequenti cause di cirrosi epatica, in particolare nei paesi occidentali. Un fegato grasso non produce sintomi di per sé, così spesso la gente apprende di avere il fegato grasso quando fa degli esami medici per altre ragioni. 
La steatoepatite non alcolica può danneggiare il fegato per anni o decenni senza causare alcun sintomo. Se la malattia peggiora, puoi provare affaticamento, calo di peso, debolezza e confusione.
Se sono escluse altre patologie, e vi è un quadro ecografico di steatosi, verrà diagnosticata una NASH. Non ci sono terapie mediche o chirurgiche standardizzate per il fegato grasso. In ogni caso, la base per il trattamento della steatosi poggia su una corretta alimentazione, il calo di peso graduale e l'attività fisica aerobica.
I farmaci attualmente in studio sono integratori antiossidanti, farmaci insulino-sensibilizzanti, ipolipemizzanti e citoprotettori.